Obiettivi di sviluppo sostenibile: l’accreditamento al servizio dell’Agenda 2030
Enrico Giovannini presenta il Rapporto ASviS 2025 e spiega come, in scenari globali complessi, le certificazioni accreditate contribuiscano a costruire fiducia, promuovere imprese responsabili e accompagnare l’Italia verso una crescita sostenibile.
Sono passati dieci anni dalla firma dell’Agenda 2030 da parte dei Governi e il tempo che resta per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile si fa sempre più breve, ma anche più prezioso.
Con il Professor Enrico Giovannini, Ordinario di Statistica Economica e Sviluppo Sostenibile all’Università di Roma Tor Vergata e Direttore scientifico di ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, cerchiamo di capire dove stiamo andando in questo cammino e quale sia il ruolo dell’accreditamento nell’allineare la realtà agli Obiettivi dell’Agenda.
A dieci anni dalla firma dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, qual è il bilancio e come appare il quadro internazionale?
Dobbiamo distinguere tra i primi cinque anni di attuazione dell’Agenda e i secondi cinque. Nel primo periodo c’è stato un impegno forte da parte di tutti i Paesi per realizzare i 17 Sustainable Development Goals. Poi, sono arrivati la pandemia, la crisi energetica e alimentare dovuta anche alla guerra in Ucraina, l’inflazione, l’aumento del debito, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e, infine, il ciclone Trump.
Il mondo è andato indietro, tanto che secondo l’ONU, proseguendo così, solo il 18% degli Obiettivi potrà essere raggiunto. Dobbiamo accelerare, anche perché le guerre hanno provocato disastri enormi. Inoltre, peggiorano gli ecosistemi e la situazione in molti Paesi, per povertà e mancato accesso a istruzione e servizi sanitari.
Insomma, non ci siamo. All’inizio del 2025, gli Stati Uniti hanno deciso di uscire dall’impegno per l’Agenda 2030, un problema enorme. Pensiamo solo al taglio degli aiuti umanitari ai paesi in via di sviluppo. Se non altro, questo è un elemento di chiarezza che dovrebbe spingere gli altri Paesi, in particolare quelli europei, ad accelerare e a supplire questa scelta insensata.
Se stringiamo l’obiettivo sullo scenario europeo, come si può valutare il percorso dell’Unione verso i Sustainable Development Goals?
Nel Trattato dell’Unione europea, all’articolo 3, si elencano gli obiettivi dell’Unione, sostanzialmente tutti e 17 gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Questo mostra quanto l’Europa abbia giocato un ruolo cruciale nel definire l’Agenda 2030. L’Europa è il luogo più sostenibile al mondo, anche se non ancora su un vero sentiero di sviluppo sostenibile.
Gli indicatori del Rapporto ASviS 2025 lo dimostrano chiaramente. Su alcuni fronti, come la lotta ai cambiamenti climatici e la parità di genere abbiamo fatto passi avanti importanti. Su altri, come disuguaglianze, povertà ed ecosistemi, si registrano oscillazioni o persino passi indietro.
Ed è per questo che serve, anche a livello europeo, accelerare. Nella scorsa legislatura, con il Green Deal ma non solo, l’Europa ha compiuto un salto di qualità straordinario: l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 dovrebbe essere raggiunto. Poi, è iniziata una marcia indietro, spinta da lobby economiche contrarie al cambiamento e da alcune forze politiche.
In nome della semplificazione, utile e doverosa, si tenta di fare passare lo smantellamento delle politiche non solo ambientali ma anche sociali dell’Unione. Sarebbe un errore gravissimo, proprio mentre l’impegno europeo e la convenienza economica spingono Cina, Asia, India e Africa verso le energie rinnovabili.
Guardando al caso Italia, quali sono i progressi e i ritardi evidenziati dal Rapporto ASviS 2025, e in quali ambiti è necessario intervenire?
Su sei Obiettivi abbiamo una situazione peggiore rispetto al 2010: povertà, disuguaglianze, qualità dei sistemi idrici e dei servizi sociosanitari, ecosistemi terrestri, partnership internazionale, governance ed efficienza del sistema pubblico. Anche nel 2024 si registrano peggioramenti, soprattutto nella povertà – 5,7 milioni di poveri assoluti – e nel deterioramento degli ecosistemi terrestri.
Abbiamo, invece, miglioramenti su istruzione, parità di genere e lotta al cambiamento climatico, anche grazie al PNRR. Guardando al futuro, molti target, però, non saranno raggiunti. Due esempi: l’impegno a far sì che metà dei giovani abbia una laurea – siamo fermi al 30% – e la riduzione delle disuguaglianze di reddito, che invece aumentano.
Tutto ciò deriva dal fatto che la politica in primo luogo non ha preso seriamente l’Agenda 2030 ed è un peccato perché nel 2023 il Governo ha varato la nuova Strategia di sviluppo sostenibile, ma poi l’ha messa da parte. Lo si vede anche nella legge di bilancio dove lo stesso Governo prevede che nei prossimi tre anni povertà e disuguaglianze resteranno alte e non miglioreranno né l’istruzione né la salute. Manca una reazione adeguata. E il pessimismo oggi domina sulla capacità del Paese di compiere quei salti in avanti che i cittadini vogliono.
Di quali politiche dovrebbero dotarsi l’Italia e l’Europa per tornare ad assumere quel ruolo di guida nel campo della sostenibilità?
In primo luogo, dandosi obiettivi realistici ma forti, senza smontare con la mano sinistra ciò che si fa con la destra. In questi dieci anni l’Italia ha preso decisioni importanti. Le imprese che hanno investito in economia circolare sono ormai eccellenze internazionali. La lotta alla disuguaglianza di genere ha fatto passi avanti, anche se restano i drammi dei femminicidi e un forte gap salariale tra uomini e donne.
Ma come si fa a fare questo salto? Siamo lieti che il Governo abbia recepito la proposta dell’ASviS: il Parlamento voterà la cosiddetta “Valutazione di impatto generazionale delle nuove leggi”. Un’innovazione che segue l’inserimento, proposto dall’ASviS nel 2016 e realizzato nel 2022, del riferimento alle future generazioni nella Costituzione. Questo cambiamento potrà migliorare il dibattito pubblico, le scelte e la consapevolezza dei cittadini.
D’altro lato bisogna accelerare sull’energia rinnovabile per ridurre i costi che frenano la competitività e nella lotta alla povertà, in particolare quella dei minori. Il Rapporto ASviS avanza numerose proposte, ma bisogna superare stereotipi e fake news che sostengono che investire in sostenibilità ci faccia tornare indietro o che l’Europa abbia un approccio ideologico quando invece si tratta di scelte lungimiranti per il futuro. Il nuovo progetto di ASviS “Ecosistema Futuro” ha come obiettivo proprio quello di mettere il tema al centro delle scelte, come l’Italia si è impegnata a fare firmando il Patto sul Futuro alle Nazioni Unite un anno fa.
Parlando dell’Infrastruttura per la Qualità, le norme tecniche e le certificazioni accreditate possono sostenere le imprese nella crescita sostenibile?
In breve, la risposta è assolutamente sì e, anzi, è indispensabile questo approccio per migliorare i processi e le performance delle imprese. I dati dell’Istat mostrano chiaramente come le imprese italiane manifatturiere che hanno scelto di andare verso la sostenibilità guadagnino produttività e competitività, anche sui mercati internazionali.
L’Infrastruttura per la Qualità e l’accreditamento possono non solo aiutare le imprese a valutare i miglioramenti effettivi, ma spingerle in questa direzione. Varie analisi hanno mostrato che le imprese italiane di grandi dimensioni soggette alle regole europee di rendicontazione di sostenibilità sono state forzate a fare il salto di qualità.
È qui dove l’accreditamento non solo assicura gli acquirenti e gli utenti che i prodotti e i servizi vengano realizzati come l’impresa dichiara, ma anche contribuisce a realizzare una cultura della sostenibilità.
I dati dimostrando che conciliare sostenibilità ambientale e performance economica è possibile. Ma come rendere questo equilibrio strutturale, per le imprese e per il sistema Paese?
Sappiamo da varie indagini che la resistenza maggiore al cambiamento viene dagli uomini che hanno più di 50 anni, formati a una visione vecchia del capitalismo e tutta orientata al profitto di breve termine piuttosto che alla cura della “casa comune” come diceva Papa Francesco. Ecco perché l’accreditamento spinge queste forze importanti, che sono a capo delle imprese, a cambiare almeno in parte il loro punto di vista.
La formazione e la riformazione dei manager dei capi impresa è un passaggio ineludibile. Ed è qui dove le associazioni di categoria, molte delle quali aderiscono ad ASviS come Confindustria, Legacoop e tante altre, hanno un ruolo cruciale nel cambiare la cultura del mondo imprenditoriale. Se vogliamo che le nostre imprese siano in grado di essere competitive e di creare lavoro di qualità, l’attenzione a questa dimensione è cruciale.
L’accreditamento per la sostenibilità
L'accreditamento e i servizi accreditati offrono le soluzioni per implementare e monitorare molti degli obiettivi dell'Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
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